Dalla parte di chi vive sulla sua pelle un disturbo o una difficoltà a livello scolastico. Una storia che da voce ad una bambina di 10 anni a cui dicono di essere dislessica. Una storia che offre spunti per riflettere, per imparare e per entrare davvero in un mondo che è molto di più di un’etichetta diagnostica. Una storia che è la vita di una bimba unica che rappresenta se stessa e nessun altro. Non esistono prototipi; esistono storie; esistono vite.
C’era una volta, anzi non c’era una volta…c’è oggi una bambina, cioè io, di 10 anni che è diversa dagli altri.
Mi presento mi chiamo Giulia, ho gli occhi verdi, i capelli marroni, ho un viso simpatico e sono dislessica. Si dice così vero? Non riesco a leggere bene, le lettere si confondono, fanno capriole, stanno a testa in giù. Mi piacciono in fondo, anche io sono così. Non sto mai ferma. Sai che fatica stare immobile tutto quel tempo a scuola. Dicevo…le lettere mi sembrano ostacoli, ogni tanto le faccio cadere, ogni tanto mi blocco e mi viene da piangere…perché è così difficile fare una cosa così semplice? Ma mi trattengo perché le lacrime negli occhi mi rendono ancora tutto più confuso e poi i compagni mi guardano. La mia amica mi sorride, sento qualche risatina laggiù in fondo e cerco di non farmi distrarre ma è difficile quando arrivano i pensieri e quando vorresti solo piangere ed invece devi leggere a voce alta.
La mia maestra è brava mi mette una mano sulla spalla, mi indica dove sono arrivata e a me basta questo per essere felice e riprendo a leggere più leggera.
Sono dislessica…dicono che le immagini e gli schemi potrebbero aiutarmi per studiare ma io vedo solo linee strane che si intrecciano e non capisco dove vanno a finire. Sono strana anche qui. Mi hanno detto che tutti i bambini dislessici imparano prima e meglio con le figure ma io no. Sono proprio diversa.
A me piace ascoltare, alle volte sembra che stia sulle nuvole, ma io ascolto e capisco a meno che non sia proprio stanca. Non lo faccio apposta a stancarmi; mi piacerebbe avere energia fino all’ultima ora di scuola. Mi piacerebbe tanto non avere ad un certo punto il vuoto assoluto. Mi sento come se avessi terminato le batterie. Sono a terra. Vedo gli altri che vanno avanti come treni ed io annaspo. Ci provo ma non ci riesco. Vorrei non stancarmi. Altro che. Ma ho capito che se mi rifugio nelle mie fantasie per poco tempo o la mia maestra mi da un compito in cui posso alzarmi e sgranchirmi un po’ mi ricarico. E poi posso di nuovo stare attenta. Menomale che lei capisce quando sta arrivando quel momento e senza che gli altri se ne accorgano mi dice di andare dalla bidella a prendere una fotocopia. Io so che lei ha capito e le faccio un sorriso enorme. E’ un occhiolino tra di noi. Mi riprende anche alle volte ma so che lo fa perché vuole che migliori; lei mi dice sempre che posso farcela e che sono bravissima a inventare storie. Me lo dicono anche i miei compagni. E noi spesso lavoriamo con la fantasia. Li mi sento brava.
Faccio fatica a stare nei quadretti e nelle righe. Mi sembrano gabbie troppe piccole per le mie lettere. La pagina del quaderno mi sembra enorme, mi dicono che devo partire dall’inizio. Ma quale inizio? C’è un inizio in un foglio bianco con millemila quadretti?
La mamma mi ha comprato i quaderni con il margine e delle evidenziature e così per me è più facile capire dove scrivere. Sono diversa. La maestra dice che allenandomi migliorerò e non mi serviranno più. Sarà. I miei compagni non dicono niente. Mi conoscono. Sanno che faccio fatica in molte cose. Sono diversa. Lo sanno anche loro ma mi vogliono bene. Cioè non tutti. Ma ho le mie amiche e va bene così.
Quando ci sono le verifiche è un caos. Se leggo io la consegna non ci capisco nulla. Sono troppo impegnata a non lasciar vincere loro. Le lettere. Figuriamoci se riesco a capire cosa devo fare.
Se la maestra legge ed io riesco a non distrarmi capisco. Mi hanno detto che sono intelligente. Non lo so mica. Non riesco mai a finire una verifica. Di qualsiasi materia. Parto a mille, se ho capito cosa fare, e poi dopo poco mi perdo. Mi spengo. E quando mi spengo non riesco ad andare avanti. Cioè spesso lo faccio perché non voglio non finire ma non so quello che scrivo. La mia testa va altrove. E provo a pensare a quello che devo fare. Ma niente non mi è possibile. Di nuovo mi viene da piangere. Ma resisto. Non sempre. Alle volte piango. Ed allora vado in bagno. La maestra mi fa uscire un attimo e alle volte viene con me la mia migliore amica Laura, lei finisce subito le verifiche è proprio brava. Lei è la più brava. Anche come amica è la più brava. Per lei non sono diversa. Per lei. Io so di essere diversa.
Ma non lo dico a nessuno. Nessuno sa che penso di essere diversa. Io sono serena, anzi lo sembro.
A me piace andare a scuola, ma faccio fatica. Come fa a piacermi una cosa per cui faccio così fatica? Non lo so nemmeno io. Io voglio bene alle mie maestre. Perché loro credono in me, più di quanto ci creda io.
E forse amo andare a scuola perché i miei genitori mi hanno detto che le difficoltà si possono superare con l’impegno e la voglia. Perché mi hanno detto che io ho un cuore grande così ed una splendida testolina. Mi dicono proprio così. E forse sono diversa. È vero. Ma loro dicono che la diversità è di tutti. Forse sono più diversa degli altri. Forse tutta questa fatica e tutta questa tristezza che non faccio vedere mi aiuteranno a diventare quello i grandi vedono in me. Forse devo solo mettercela tutta e fidarmi di loro.
Non lo so. Ho 10 anni e non sono dislessica. Sono molto di più. Forse una parola non dice quello che sono. Dice che ho difficoltà a leggere ma io non ho solo difficoltà a leggere. Io sono di più. Ma sono anche di meno. Io sono altro. Io non sono una parola.
Ho 10 anni e sono serena. Sono quel che sono e sono quel che diventerò. E non sarò mai solo una parola.